Aggiornare le idee
Lo sapevi che anche mettere in discussione le nostre convinzioni può innescare reazioni di attacco o fuga?
Parto con una domanda per introdurre uno degli argomenti che più mi affascinano da alcuni anni a questa parte, ovvero come lasciare andare le proprie convinzioni se si rivelano limitanti e come aiutare gli altri a farlo.
Mi sono avvicinata a questo argomento perché il coaching, come metodologia di lavoro con le persone, ha proprio l'obiettivo di aiutarle a strutturare le azioni necessarie a ottenere un cambiamento desiderato e rimuovere gli ostacoli che intralciano questo processo.
Siamo inclini a pensare che ciò che ci separa da una vita più in sintonia con i nostri valori e più in linea con i nostri obiettivi siano ostacoli esterni. Sicuramente gli ostacoli esterni ci sono, ma quelli più difficili da rimuovere sono spesso quelli interni: convinzioni, resistenze e paure.
All'interno del coaching, il mio ambito di specializzazione è quello della genitorialità. Ci troviamo in un periodo storico in cui le scoperte che le neuroscienze ci hanno regalato negli ultimi decenni hanno messo in luce i limiti dell'educazione tradizionale, che per amore di sintesi definirò come autoritaria, adulto-centrica e fortemente orientata alla performance/risultato. Allo stesso tempo però non si ha chiaro come mettere in pratica un approccio diverso. Le parole che si sentono sono attaccamento sicuro, relazione di fiducia, rispetto, ascolto, empatia, limiti, autorevolezza, intelligenza emotiva...ma spesso vengono fraintese, confuse, male interpretate o utilizzate come armi da scagliarsi addosso quando non si è d'accordo su come gestire una determinata situazione.
In questo senso, ci sono due ordini di difficoltà nelle coppie:
ci sono coppie in cui entrambi sono d'accordo sul cambiare approccio rispetto al passato ma faticano a trovare il loro modo di essere genitori
ci sono coppie in cui uno dei due vuole cambiare approccio educativo e l'altro è scettico, disilluso o apertamente contrario
Oggi mi concentrerò su questa realtà.
È meglio così
“Io cerco di portare avanti un'educazione rispettosa, lui pensa che io sia troppo permissiva.” Giulia
“Io da mesi mi sto impegnando ad applicare un' educazione rispettosa ed emotiva (…) non è facile, mi metto in discussione quotidianamente, ma desidero davvero costruire una sana comunicazione con le mie figlie. Lui invece rimane ancorato al vecchio sistema autoritario, basato su minacce e castighi.” Diana
Non di rado, quando uno dei due sceglie di intraprendere la strada della rottura rispetto al passato (parlerò al femminile perché molto spesso la prima a fare questo passo nelle coppie eterosessuali è la mamma, anche se non è assolutamente sempre così) lo fa dopo essersi informata e quindi con l'atteggiamento di chi sente di fare la cosa “giusta” o “migliore”. E paradossalmente proprio questo può costituire un limite all'evoluzione dell'altro.
Quando diciamo che qualcosa è “migliore” stiamo dando per contata una delle seguenti visioni del mondo:
siamo tutti uguali e che esiste qualcosa che funziona per tutti
il nostro partner è uguale a noi e quindi quello che vale per noi vale necessariamente anche per lui
Avendo scelto di fare dei figli con una persona è probabile che tendiamo a pensarla in questo modo, eppure dire che qualcosa è “giusto” tende quasi sempre ad avere un effetto polarizzante. Quando vogliamo convincere qualcuno (in questo caso il partner) che abbiamo ragione, il nostro approccio è conflittuale e l'altro è portato (come abbiamo visto nella newsletter sui conflitti) a difendersi o contrattaccare: potrebbe quindi chiudersi o iniziare a trovare ragioni a sostegno del suo punto di vista e a danno del nostro. Il risultato è che si è entrambi più attaccati alle proprie convinzioni e meno disponibili nei confronti dell'altro.
La prima cosa che possiamo imparare è questa: quando vogliamo far cambiare idea a qualcuno su qualcosa non dobbiamo fargli il lavaggio del cervello, dobbiamo ascoltarlo. Dobbiamo capire cosa lo lega alle sue idee. Dobbiamo capire di cosa ha paura.
Come ho sentito dire allo psicologo, ricercatore e professore Kurt Gray, che ha condotto degli affascinanti studi su come le persone vedono i propri avversari politici, “Facts don’t bridge divides, sharing concerns with harms, threats and pain does” (I fatti, le informazioni, non bastano a superare le divisioni tra le persone, ma condividere preoccupazioni su rischi, minacce e dolore può farlo).
Oltre all'atteggiamento ostile o saccente di un eventuale partner, ci sono però numerosi altre fattori che possono rendere un genitore reticente all'idea di adottare un “nuovo” o “diverso” stile educativo. Vediamoli insieme.
Resistenza al cambiamento
Temperamento ed esperienze possono fare una grande differenza, ma in generale gli esseri umani sono naturalmente avversi al cambiamento perché tendiamo ad avere paura dell'ignoto, a preferire una strada mediocre ma certa a una incerta, a essere avversi al rischio e a trarre conforto e sicurezza da ciò che conosciamo.
In più, la resistenza al cambiamento è uno degli effetti della cosiddetta “avarizia cognitiva”.
Te la spiego in modo coinciso e spero chiaro: le nostre risorse (in questo caso mi riferisco a quelle cognitive) sono limitate. Quando si esauriscono non riusciamo più a tenere la concentrazione, prendere decisioni ed esercitare autocontrollo in generale (per le ricerche su questo argomento faccio riferimento agli studi dello psicologo e autore Roy Baumeister).
La quotidianità ci richiede numerosi sforzi e fatiche. Dobbiamo quindi decidere se e dove ha senso investire energia mentale.
Crescere un figlio è assorbe tantissima energia. Farlo in modo intenzionale e rispettoso spesso ne richiede anche di più: “che fatica!” è una delle frasi che sento più spesso nei percorsi di coaching con i genitori, anche e forse soprattutto da parte di chi è più soddisfatto dei propri risultati.
Quindi la riluttanza a mettere in discussione le proprie idee e abitudini può avere a che fare con la scelta o la necessità di risparmiare risorse. Proprio come un investimento, magari non è il momento giusto, magari invece bisogna spalmarlo su un lasso di tempo più ampio perché sia sostenibile.
Bias su bias
Siamo reticenti al cambiamento, ma fatichiamo anche a vivere bene pensando “sarebbe molto importante cambiare questa cosa ma io non lo faccio” (vedi la newsletter sulla dissonanza cognitiva, che puoi leggere qui), se non riusciamo a cambiare le nostre azioni tendiamo a convincerci che cambiare non sia poi così importante.
Quante volte hai sentito dire “Si è sempre fatto così e non siamo venuti su tanto male”? È un modo per auto giustificarsi, per assolversi e perdonarsi. E quando vogliamo giustificarci ci viene in aiuto il bias di conferma, che ci consente di notare più facilmente quello che conferma ciò in cui già crediamo e di ignorare, per esempio, che adulti che pensano che vada bene alzare le mani sui bambini o scaricare su di loro le proprie frustrazioni non sono poi cresciuti tanto bene…
A questa breve sfilata di bias (che, ricordo, sono distorsioni cognitive) si aggiunge anche il bias di desiderabilità sociale o bias di conformità, che ci spinge a conformarci alla maggioranza o alle aspettative degli altri per evitare di essere giudicati. Se sono un papà e da me ci si aspetta che “metta in riga” mio figlio quando “si comporta male”, lo faccio come ho imparato, senza chiedermi se è quello che voglio fare, ma dicendomi che è quello che devo fare.
Scegliere di cambiare ci espone al giudizio.
So quindi sono
“Metterci in discussione rende il mondo più imprevedibile. Ci impone di ammettere che le cose possono cambiare, che ciò che una volta era giusto adesso può essere sbagliato. Riconsiderare qualcosa in cui crediamo profondamente può minacciare le nostre identità, può farci sentire come se stessimo perdendo una parte di noi stessi.”
Adam Grant sostiene che cambiare idea sia per molti estremamente difficile perché ne va della propria identità. Se rinnego ciò che sostenevo fino a ieri, chi sono? Cosa succede se ammetto di aver avuto torto su qualcosa, sono ancora credibile?
Il punto è che attribuiamo spesso molta più importanza all' “avere ragione” che, ad esempio, all'essere flessibili, curiosi, aperti e disponibili. Se ci raccontiamo di essere una persona che non sbaglia, sarà molto difficile accettare di cambiare idea.
Se invece abbracciamo il cosiddetto growth mindset, saremo più ricettivi nei confronti di nuovi stimoli e più disponibili a riconsiderare le nostre convinzioni come passaggio di un'ulteriore evoluzione personale. Del resto, “viviamo in un mondo in rapida evoluzione, un mondo in cui al ripensamento va dedicato lo stesso tempo che destiniamo al pensiero.”
Pillole di saggezza take away
sfinire qualcuno con le nostre argomentazioni raramente lo porta a cambiare idea
difficilmente qualcuno che sente che diamo poco valore alle sue idee, lo darà alle nostre
far cambiare idea a qualcuno è tanto più difficile quanto meno siamo disposti a cambiarla noi per primi
quello a cui puntiamo non è la conversione, ma la dimostrazione di interesse: il dialogo comincia lì, con un atteggiamento di umiltà e curiosità di cui possiamo scegliere di dare l'esempio
Torniamo a noi
È importante essere genitori sicuri nella relazione con i propri figli. Sicuri non vuol dire perfetti, infallibili o intransigenti.
Essere sicuri vuol dire avere fiducia nelle proprie capacità anche quando non si ha subito la certezza di come gestire una determinata situazione o quando il proprio intervento produce un effetto inaspettato.
È proprio la sicurezza in sé che ci consente di mettere in dubbio le nostre conoscenze senza andare nel panico, lasciare andare le esperienze precedenti o i buoni consigli e concentrarsi sul presente, farsi nuove domande, osservare e magari giungere a nuove conclusioni.
Paradossalmente, capita che siano le persone più insicure quelle che faticano maggiormente a cambiare idea, perché si aggrappano agli “slogan” per definirsi e se devono metterli in discussione si sentono perse.
Parent coaching
A volte le persone mi chiedono “Perché mio figlio fa così?” E io rispondo “Ho qualche ipotesi, ma non lo so per certo, cerchiamo di capirlo insieme.” Oppure mi domandano: “Sto facendo la cosa giusta?” E io rispondo “Dipende. Cosa vuoi ottenere?”
Il coaching è, come la genitorialità: una relazione. La sua essenza è l'ascolto. Per poter intervenire, in qualsiasi situazione, bisogna prima capire.
Il coaching è un percorso, non un corso: non ti dico cosa dovresti fare, ti aiuto a trovare le tue risposte e il tuo modo comunicare con rispetto, limitare con amorevolezza, contenere, accogliere e incoraggiare.
In un percorso di parent coaching io sono al tuo fianco, non ci sono cattedre o altari.
Possiamo partire da una difficoltà, da un desiderio, da un pensiero e costruire da lì.
Se hai voglia di lavorare con me, adesso o a settembre, scrivimi per prenotare una chiamata conoscitiva gratuita: elisa@ilgenitoreconsapevole.it
Percorsi individuali
Percorsi in coppia
Le vostre storie
Questo mese questa parte della newsletter ha una forma un po' diversa.
Ho intervistato due papà che nel diventare genitori hanno cambiato idea su come volevano crescere i loro figli.
Uno di questi papà e mio marito, l'altro è F. che è stato un mio cliente.
Se vuoi leggere le loro storie le trovi qui: www.ilgenitoreconsapevole.it/blog
Per te invece ho una domanda, se hai voglia di rispondere. Mi racconti qualcosa che hai iniziato a fare dopo essere diventata mamma o papà? Può essere uno sport, una piccola nuova abitudine, una passione recente: qualcosa che non faceva parte della tua vita da non genitore e adesso invece sì.
Grazie!
Elisa