Ultimamente ho ricevuto alcuni messaggi di mamme che hanno un dubbio in comune: “Io credo nell’educazione dolce, ma non è che stiamo sbagliando?”
Le situazioni sono diverse, ma il quesito rimane lo stesso.
Una mamma mi racconta della sua bambina completamente disregolata e si chiede se non dovrebbe essere più rigida di fronte all'espressione delle emozioni della piccola.
Un'altra mamma legge un articolo che attribuisce proprio alla disciplina positiva la responsabilità del malessere giovanile e si domanda: "E se avessero ragione?"
Una terza si confida con me quasi con vergogna, come se avesse commesso un peccato: "A volte mi viene voglia di tornare ai metodi tradizionali, perché, se guardo intorno a me, sembra che funzionino meglio".
Tutte queste voci mi fanno pensare a due cose:
È importante continuare a porsi domande e mettere in discussione le proprie scelte. Solo così possiamo essere davvero consapevoli e intenzionali, continuando a crescere come genitori.
C’è bisogno di fare chiarezza: l'eccesso di informazioni superficiali spesso genera ansia, insicurezza o rigidità.
Qualche giorno fa, al termine della nostra sessione, una mamma con cui sto lavorando mi ha scritto così: “Ad oggi penso che se avessi fatto un percorso con te dall'inizio, non sarei un gomitolo aggrovigliato…”
Questo perché ha cercato di seguire pedissequamente le indicazioni che ha trovato e che le spiegavano come doveva reagire e cosa doveva dire in determinate situazioni. Non erano necessariamente consigli sbagliati, ma le hanno impedito di sintonizzarsi davvero con i suoi bambini e soprattutto con se stessa. Ha ignorato le proprie emozioni e fatiche sacrificandosi per un obiettivo “più grande”: fare la cosa giusta con i suoi bambini. Oggi si sente stremata e un po’ disillusa.
In questa newsletter:
faccio un po’ di chiarezza semantica
chiarisco il dubbio su “no” e limiti
ti racconto qualcosa di personale
ti regalo un promemoria in formato bigino
condivido le vostre storie
Cosa intendi per educazione dolce?
Spesso chi pratica quella che chiama “educazione dolce” non sa esattamente cosa intende. Ha un’idea di alcuni valori importanti per sé nella relazione con i bambini e cerca di perseguire questo approccio anche per discostarsi da quanto vissuto nella propria infanzia.
Io parlo sempre di educazione consapevole o educazione rispettosa. So però che le differenze non sono chiare, quindi questi due termini vengono usati in modo intercambiabile con educazione dolce e disciplina positiva. Come scrivevo in una newsletter di un paio di anni fa,
“I nomi sono importanti e la mia esperienza professionale mi ha mostrato che per tante famiglie cambiare approccio educativo genera molte domande e una certa confusione. Il termine disciplina positiva rischia di indurre le persone a pensare che i “no” e le restrizioni siano bandite e che la risposta dell'adulto debba sempre essere positiva: questo è fuorviante. Positivo è l'atteggiamento (rispettoso, empatico, accogliente), non il contenuto.”
— Educazione Dolce
Il termine "educazione dolce" non è attribuibile a una singola persona: rappresenta un concetto nato dall'incontro di diverse correnti pedagogiche e filosofiche. Trova le sue radici nel lavoro di Maria Montessori, che già agli inizi del XX secolo portava avanti un approccio educativo rispettoso e basato sullo sviluppo naturale del bambino. Successivamente, autori come John Bowlby, con la teoria dell'attaccamento, e Diana Baumrind, con i suoi studi sugli stili genitoriali, hanno contribuito a consolidare l'idea che la dolcezza e il rispetto nelle relazioni genitoriali sono cruciali per uno sviluppo sano.
In sintesi: l’educazione dolce mette al centro il rispetto, l'empatia e la comprensione del bambino, evitando l'uso di punizioni severe o metodi coercitivi.
— Disciplina Positiva
Il termine “disciplina positiva” è strettamente legato a Jane Nelsen, psicologa ed educatrice statunitense autrice appunto di Positive Discipline (1981). Questo approccio è a sua volta basato sulle teorie di Alfred Adler e Rudolf Dreikurs, psicologi che enfatizzavano il rispetto reciproco e la collaborazione nel rapporto genitori-figli come risposta migliore possibile al bisogno di appartenenza e autostima dei bambini.
Il lavoro di Nelsen si concentra sull'importanza di insegnare le competenze sociali ed emotive attraverso il rispetto e l'incoraggiamento, evitando punizioni o ricompense estreme, e promuove una guida educativa ferma ma gentile.
In sintesi: la disciplina positiva mette al centro il rispetto, la collaborazione, l’incoraggiamento e le conseguenze logiche al posto delle punizioni o altri metodi coercitivi.
— Educazione Rispettosa
Il termine "educazione rispettosa" (respectful parenting)non è associato a una singola persona o autore, ma è una definizione che emerge dal movimento più ampio dell'educazione basata sul rispetto reciproco tra genitori e figli (appena visto). Il concetto centrale è quello di trattare i bambini come individui a tutti gli effetti, con bisogni, desideri e diritti propri, degni di rispetto e ascolto. Un grande contributo a questo approccio è stato dato dall’educatrice e psicoterapeuta infantile ungherese Magda Gerber, che con il suo metodo RIE ha fatto un lavoro secondo me prezioso (anche se a volte sminuito o frainteso) per mostrare che i bambini possono essere trattati con rispetto fin dalla nascita, riconoscendo il loro ruolo attivo nell'apprendimento e nelle relazioni.
In sintesi: l’educazione rispettosa mette al centro il rispetto reciproco, l’osservazione, l’ascolto e la sintonizzazione come strumenti per sostenere lo sviluppo dell’autonomia senza coercizione o autoritarismo.
— Genitorialità Consapevole
Il termine "genitorialità consapevole", o conscious parenting, è principalmente associato alla psicologa clinica Shefali Tsabary, autrice del libro The Conscious Parent (2010). Tsabary ha messo l’accento sull'idea che la genitorialità non riguarda solo l'insegnamento ai bambini, ma anche il lavoro interiore del genitore stesso. Questo approccio invita i genitori a riflettere sulle proprie reazioni, aspettative e convinzioni, ponendo l'accento sulla crescita personale e la consapevolezza emotiva. L’idea innovativa (e nella mia esperienza totalmente illuminante e vera) è che le difficoltà e le sfide della genitorialità offrono un'opportunità per la crescita personale del genitore. Un elemento fondamentale di questo approccio è l’assenza di giudizio e l’orientamento al miglioramento.
In sintesi: la genitorialità consapevole mette al centro l’introspezione e la crescita personale, chiamando i genitori ad essere consapevoli delle proprie emozioni, automatismi e bias, per educare prima di tutto con l’esempio.
Spero che questo breve riassunto aiuti a comprendere i punti in comune e le sfumature di ogni approccio. Non si tratta di dover scegliere, ma di capire che ognuno, a seconda dei propri valori, delle proprie possibilità e dei propri obiettivi può impostare un approccio educativo che prenda spunto da ciò che gli sembra più bello, utile e possibile.
Ci tengo a sottolineare che sebbene TUTTI questi approcci invitino a creare disciplina (ordine e rispetto) in modo positivo (non punitivo o coercitivo), NESSUNO di questi approcci suggerisce che sia bene rinunciare alle regole, praticare il permissivismo o passare ai bambini il potere decisionale all’interno della famiglia. Si tratta in tutti i casi di approcci in cui l’adulto si prende la piena responsabilità nella relazione con il bambino.
Chi si trova in una situazione in cui “i bambini fanno tutto quello che vogliono” o “tanto sanno che alla fine cediamo” o ha male interpretato le teorie o non è riuscito ad applicare, il che è assolutamente comprensibile perché non è affatto semplice essere fermi e gentili, specialmente in un modo in cui fermezza fa rima con forza e gentilezza con condiscendenza.
Ma quindi posso dire di no?
Qualche settimana fa un papà mi lasciò un lungo commento sotto un reel. A un certo punto il suo messaggio diceva: “(...) si cerca di essere consapevoli e ragionevoli, si dialoga molto con la bambina, quando c'è qualcosa che non va non ci si limita ad un NO, ma seguono sempre spiegazioni. (...) Se è vero che le sberle non servono per educare, ad oggi non penso lo stesso di un NO secco e stop. Credo che a volte sia anche necessario NON dare alternative o spiegazioni. Ho detto no ed è no, perché lo dico io. Il mondo è anche questo che lo vogliate o no.”
Quello che mi ha colpito è che l’esasperazione e il bisogno di questo papà di rivendicare - quasi come fosse messo in discussione - il suo ruolo, derivano da un precedente tentativo di applicare alcune buone pratiche della disciplina positiva (alternative e spiegazioni) in modo rigoroso.
Se hai una bambina di 2 anni, nessuna spiegazione sarà sufficiente a convincerla che è giusto smettere di fare una cosa che le piace molto. Vuol dire non spiegare nulla sotto una certa età? No, vuol dire sapere che la spiegazione in quel caso ha un’efficacia molto limitata, che resta una buona pratica ma non una bacchetta magica e che una volta data la spiegazione serve passare a un’azione costruttiva: non possiamo affidarci alla ragionevolezza di bambini piccoli per riuscire ad essere genitori efficaci.
Una nota personale
Non sono solita parlare di me come mamma. Non lo faccio perché non credo sia rilevante: quello che faccio io non necessariamente funzionerebbe per altri e non necessariamente è migliore. Ho sempre paura che raccontando la propria vita personale quando si riveste un certo ruolo professionale si rischi di creare uno standard o un modello che poi le persone vogliono replicare, cosa pericolosa e fuorviante. Qui però farò una piccola parentesi personale.
Non mi piace a dire di no a mia figlia (quasi 7 anni).
E credo che maggiore è il numero di no che le diciamo, maggiore è la frustrazione che creiamo in lei, il che rende l’ambiente emotivo più faticoso da vivere.
Eppure, soprattutto in certe fasi della sua vita e della nostra relazione, mi sono trovata a dirle veramente tanti no.
Succede perché:
abitiamo in ambienti non a misura di bambini che a volte costituiscono un pericolo che lei non è in grado di valutare autonomamente
il tempo è un risorsa limitata: devo continuamente fare scelte su come gestirlo e ogni scelta esclude necessariamente altre possibilità
lei non ha ancora un’idea chiara del valore economico delle cose e quindi non si rende conto dell’impatto di certe richieste
mi preme insegnarle alcune norme sociali che crescendo deve imparare a conoscere e rispettare
evolutivamente ha bisogno di testare i limiti e mettere alla prova la sua capacità di influenzare l’ambiente che la circonda
essendo una bambina, le sue funzioni esecutive sono ancora scarse, la sua capacità di regolazione emotiva limitata, la sua visione del mondo ancora un po’ egocentrica e le sue reazioni spesso istintive: questo la porta a fare scelte o richieste che non sempre giudico opportune, ragionevoli o giuste
E allora senza giudicarla (o punirla!) per il suo essere una bambina, semplicemente le dico di no. E tengo la posizione se insiste. E accetto che faccia fatica. A volte ne faccio davvero tanta anche io.
Ma è parte del mio ruolo, che cerco ogni giorno di esercitare con consapevolezza e rispetto nei suoi confronti.
Il bigino
— Educare con rispetto NON è:
Permettere qualsiasi comportamento senza limiti o regole
Punire o ricorrere a metodi coercitivi per ottenere obbedienza
Ignorare, sminuire o ridicolizzare le emozioni dei piccoli
Assecondare ogni richiesta o desiderio di bambini e bambine
Fare leva su premi o ricompense per manipolare il comportamento
Imporsi in modo rigido e autoritario, senza ascolto o dialogo
Controllare o dominare il bambino, soffocando la sua autonomia e negando la sua individualità
— Educare con rispetto è:
Comprendere che i bambini sono bambini e non adulti in miniatura
Conoscere e comprendere i concetti base dello sviluppo infantile
Riconoscere e valorizzare le emozioni e i bisogni di bambine e bambini
Stabilire limiti chiari e coerenti, farli rispettare con gentilezza e fermezza
Favorire l'autonomia e la capacità decisionale dei piccoli in misura crescente durante tutta la crescita
Ascoltare attivamente, creando un ambiente di fiducia e comprensione
Supportare lo sviluppo emotivo attraverso co-regolazione, verbalizzazione, modellamento e insegnamento di competenze
Prestare attenzione all'esempio che viene dato in famiglia
Trattare il bambino come un individuo competente e degno di rispetto
Trattare se stessi come individui competenti e degni di rispetto
— Per educare con rispetto e consapevolmente occorre
fare quanto indicato sopra la maggior parte delle volte: nessuno è o sarà mai un genitore perfetto (e se è per questo, un genitore perfetto non sarebbe il miglior genitore possibile!)
continuare a farsi domande, rimanere in osservazione e ascolto di sé e dei bambini
praticare la capacità di accettare i propri errori, riparare quando si sbaglia e ripianificare la rotta quando le cose non vanno come avevamo desiderato o previsto
* Approfondimenti:
Più in basso trovi un veloce domanda-risposta sull’educazione rispettosa.
Ti segnalo intanto alcuni articoli sul mio sito che possono accompagnarti in altre riflessioni:
> Il lavoro del genitore su se stesso
> Educare a lungo termine
> Correggere con rispetto
> Con mio figlio non funziona
Ora chiedo io un piacere a te: mi dedichi qualche minuto rispondendo a questo questionario? Grazie!
Parent coaching
Il coaching si sposa benissimo con la genitorialità consapevole. La figura professionale del coach accompagna il genitore nel suo processo di introspezione-decisione-azione aiutandolo a fare scelte più consapevoli e a trovare gli strumenti più adatti per metterle in pratica.
Se vuoi intraprendere un percorso individuale o in coppia con me, scrivimi per avere tutte le informazioni e prenotare la tua chiamata conoscitiva gratuita: elisa@ilgenitoreconsapevole.it
Ci sono ancora 3 posti per il percorso di coaching in gruppo dedicato a genitori di bambini di 6 anni che partirà il 4 ottobre: qui tutte le info
Lightning round: dubbi sull'educazione rispettosa e consapevole
Ci sono prove che questo approccio sia oggettivamente migliore di altri?
No, non ci sono studi che provano che questo approccio sia in assoluto migliore di altri, ma come ci ricorda Emily Oster, ”ci sono molti dati che dimostrano che un approccio rispettoso funziona meglio rispetto, ad esempio, alle sculacciate”. Ci sono anche diverse ricerche che mettono in relazione l'educazione rispettosa con uno sviluppo emotivo sano, relazioni più solide e una maggiore capacità di autoregolazione.
Perché dovrei adottare un’educazione rispettosa?
Perché senti che ti rappresenta, che è vicina ai tuoi valori e alla tua visione dell’infanzia. Inoltre, promuove lo sviluppo emotivo, l'autostima e la capacità di autoregolazione nei bambini, creando relazioni familiari basate sulla fiducia e il rispetto reciproco.
L'educazione rispettosa renderà mio figlio più obbediente?
No, l'educazione rispettosa non mira all'obbedienza cieca, ma a sviluppare cooperazione, autonomia e consapevolezza. Tuo figlio imparerà, col tempo, a prendere decisioni in modo responsabile, piuttosto che seguire ordini senza capire il perché.
Educare con rispetto significa evitare il conflitto?
No. Educare con rispetto non significa evitare il conflitto, ma gestirlo in modo costruttivo. Il conflitto è naturale. L'importante è gestirlo con rispetto reciproco e dialogo.
Questo approccio renderà i bambini viziati o egocentrici?
No. Un bambino rispettato e compreso impara a rispettare e comprendere anche gli altri, sviluppando empatia.
Un approccio gentile e rispettoso li renderà incapaci di affrontare un mondo spesso prepotente e aggressivo?
No. Un approccio gentile e rispettoso insegna ai bambini a conoscere e regolare le proprie emozioni, a riconoscere comportamenti scorretti e prevaricanti e a mettere limiti a tutela del proprio benessere. MA CI VUOLE TEMPO!
Un bambino educato con consapevolezza sarà sempre felice?
No. Avrà una base emotiva più solida per affrontare le difficoltà, ma sperimenterà comunque tutte le emozioni, positive e negative, anzi, si sentirà più libero di manifestarle.
Se uso un approccio rispettoso, mio figlio non sarà mai punito?
Esatto. L'educazione rispettosa si basa su esempio, conseguenze logiche e insegnamento, non su punizioni. Ricordati però che punire e far sperimentare le conseguenze delle proprie azioni o scelte sono due cose ben diverse e la seconda fa parte di un approccio rispettoso.
L'educazione consapevole significa che non posso mettere limiti?
No. Puoi e DEVI mettere limiti, ma lo fai con empatia, calma e sicurezza, non con autoritarismo.
Se comunico con chiarezza e assertività mio figlio mi ascolterà sempre?
No. Anche comunicando con chiarezza e assertività, tuo figlio potrebbe non ascoltarti sempre, perché è naturale per i bambini testare i limiti e seguire i propri desideri. La comunicazione efficace però favorisce una migliore comprensione e cooperazione nel tempo.
Se educo con rispetto, mio figlio non proverà mai frustrazione?
No. L'educazione rispettosa non elimina la frustrazione, ma aiuta i bambini a sviluppare strumenti per gestirla in modo sano. Perché questo sia possibile però è importante che anche tu lavori sulla tua consapevolezza e gestione emotiva.
Come si concilia l'educazione rispettosa con un sistema scolastico e sociale che pone l'accento sulla performance?
La sfida è insegnare ai bambini a valorizzare il processo più del risultato. Devono imparare a gestire la pressione, mantenendo intatti la loro autostima e il loro benessere emotivo. Lo faranno con un’esposizione graduale e livelli di sfida crescenti anziché con tecniche drastiche o forzate. Inoltre, il dialogo con i genitori può aiutarli a comprendere le differenze tra i vari ambienti che frequentano, favorendo lo sviluppo di un pensiero critico.
Le vostre storie
Ho chiesto su instagram quali dubbi abbiate sull’educazione rispettosa ed empatica che state cercando di portare avanti. Di seguito alcune delle risposte ricevute. Spero in questa newsletter dato un contributo utile. Dopodiché, continuate a farvi domande!
“Ho quotidianamente dubbi su questo tipo di educazione, soprattutto quando non mi ascolta. Mi chiedo se sto facendo bene o se sono troppo permissiva e ne pagherò le conseguenze… Ci sono ci sono anche tanti momenti in cui sono super soddisfatta della mia scelta. Per esempio quando lo vedo esprimere le sue emozioni con disinvoltura.” Chiara
“Ho dei dubbi ogni volta che sembra essere troppo “indisponente” perché il corpo è suo e decide lui…perché ognuno decide per se… oppure quando insiste: ”spiegami perché nn posso, perché no?!” È faticosissimo!” Carmela
“Non ho mai dubbi, ma volte mi sento un pesce fuor d’acqua nel vedere quanti genitori intorno a me sembrano ancora legati a metodi “autoritari” e mi chiedo se sarà sufficiente, un domani, aver provato a trasmettere a mia figlia altri valori, con un metodo educativo più rispettoso.” Silvia
“Ho un bambino di 2 anni e una bimba di pochi gg di vita. Io e mio marito abbiamo abbracciato la meravigliosa filosofia dell'educazione consapevole, sebbene sbagliando dieci volte e facendone solo una giusta. È faticoso, ma sopratutto ti vengono dubbi, perché agli occhi degli altri pare che siamo troppo "dolci" , non abbiamo il cosiddetto pugno duro. E per forza di cose, per quanto sei convinto delle tue idee, nei momenti difficili, le frecciatine "dell'educazione basata su premi e punizioni" viene fuori e ti fa sentire inadeguata. Sto facendo la cosa giusta? Non sempre, nonostante gli sforzi, si ottengono risultati immediati e a volte è sconfortante.” Simona
“Provo a verbalizzare un concetto difficile: mi sento serena nell’approccio condiviso che abbiamo sempre adottato. Nei momenti più delicati/di passaggio in cui emergono dei tratti nuovi e inaspettati del mio bimbo che sento di far più fatica a gestire la parte più competitiva è sempre capire se si tratti di step “fisiologici” o se generati da qualche nostro sbaglio/inefficacia nell’applicare quello che avremmo voluto.” Silvia
Ho ricevuto tantissimi messaggi di persone convinte e soddisfatte di questa scelta. Nessuno però pensa che sia facile. Prendersi la responsabilità di crescere degli esseri umani NON È facile.
Qui trovi altre conversazioni.
Grazie di aver letto e alla prossima!
Elisa
Ciao Elisa, la tua newsletter mi è piaciuta tantissimo! Grazie mille ☺️
Cerco di praticare la disciplina dolce, ma da autodidatta figlia di genitori autoritari in una famiglia patriarcale, a volte non mi sento all’altezza. Fatico soprattutto a capire quando un pianto o delle urla sono sinonimo di bisogno (emotivo?) e quando invece dovrei impormi io. Suppongo che l’età del bambino sia la chiave, ma anche qui sono inesperta e impreparata! Come fare?
Ciao Elisa, in quali modi o contesti l'approccio di Gerber è stato ridicolizzato o banalizzato?